venerdì 23 maggio 2008

Il mio perchè della disfatta elettorale

Quando Antonio Sechi mi ha chiesto di scrivere un commento sull’elezioni politiche di aprile, e in particolare, sulla scomparsa dal panorama parlamentare delle forze della sinistra, presentatesi sotto il neo simbolo dell’arcobaleno, ho inizialmente trovato una difficoltà nel rispondere positivamente all’invito, molto cortese devo riconoscerlo, di dare una mia analisi politica a causa della fortissima delusione elettorale.Delusione, amarezza, difficoltà nel capire perché milioni di donne e uomini avessero deciso di non delegare più, attraverso il loro voto, i loro sogni, le loro speranze, le loro paure, i propri diritti a partiti ed ad un partito in particolare più degli altri - mi perdoneranno la partigianeria le compagne e i compagni - Rifondazione Comunista, che in questi anni, dalla sua nascita nel 1991 ad oggi, ha fatto delle battaglie sociali e del conflitto sociale la sua forza e il suo messaggio, cercando di riprendere la parte più sana e genuina del pensiero comunista.Come si capisce da queste righe una riflessione difficile per chi scrive, innamorato non tanto della sua organizzazione politica ma del progetto che la stessa ha iscritto nel suo nome, Rifondazione, la ricostruzione collettiva di un nuovo alfabeto della politica con cui scrivere la parola comunismo ripensando la pratica e la teoria, salvando le belle esperienze del passato; ed è in questo travaglio, di militante, di iscritto, che anche se ancora relativamente giovane, con un presenza di tre anni nel C.P.N (il comitato centrale) di Rifondazione, già coordinatore provinciale dei giovani comunisti, segretario di circolo di un piccolo paese della provincia di Oristano: che ho iniziato una riflessione più vera di quella che non è classificabile come una semplice sconfitta elettorale.Infatti noi non abbiamo perso tre milioni di voti, ma quel collante politico e di rappresentanza con quelle donne e quegli uomini, insomma si è rotto il cordone ombelicale rappresentato da quell’idea di organizzazione politica di stare nel conflitto sociale, di presenziare le istituzioni come nelle piazze per difendere i diritti delle classi più deboli, e chiedere il rispetto dei doveri dalle istituzioni come della classe più agiata del paese nei confronti del vero motore della repubblica Italiana:i lavoratori salariati, i giovani precari da contratti stagionali, i piccoli artigiani stremati dalla grande distribuzione,i pensionati, di cui un cittadino su cinque in questa provincia ne fa parte.Sono stati questi due ultimi anni, un momento di ubriacatura politica, come compagne e compagni della rifondazione comunista ci siamo auto convinti che sarebbe bastata la nostra presenza nella compagine di governo per garantire l’attuazione del programma, lo sviluppo di un nuovo stato sociale in risposta alle nuove e vecchie povertà; abbiamo ascoltato poco i segnali esterni che venivano da gran parte del nostro humus politico:quando si è capito la necessità di dare un segnale diverso, siamo stati in più di un milione a piazza S. Giovanni a Roma, e quella presenza di popolo così numerosa era il segnale da raccogliere, per capire tutti noi che ci si chiedeva ancora una volta di essere Rifondazione, di portare il conflitto nelle stanze del potere: intendiamoci questo non vuol dire che non è stato fatto, ma non con quella necessaria forza di rottura che ci si aspettava; siamo finiti vittima dell’accusa storica formulata dai nostri stessi alleati del P.D, di partito d’opposizione, incapace di sporcarsi le mani nell’amministrazione dello stato.Io credo che non solo una sconfitta politica sia stata quella del 13 e del 14 aprile, per questo penso che si debba rifondare La Rifondazione, costruendo nuovamente un collante vero per la classe sociale che forma questo partito, per far sentire tutte le donne e gli uomini che pensano a una società più giusta, ad un altro mondo possibile, la presenza delle comuniste e dei comunisti nel lottare ogni giorno, per essere in grado di rappresentare quelle speranze, per rispondere a quelle che sono le domande delle nuove e vecchie povertà, per essere comunisti.

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